storia 11, 6 marzo 2022
            by Danilo Rosso

Vado al Monte. Vado un po’ in oratorio. Voleva dire passo anche solo mezz’ora, ma qualcuno lo trovo e ci faccio due chiacchiere.

Sono nato in Barriera di Milano ed il Michele Rua ne è per me la parte più bella.

Per me l’oratorio è stato prima di tutto un luogo dove andavo a messa con i miei genitori e poi quello del gruppo Famiglia con iniziative, serate, capodanni e gite (Lourdes con don Guido Abà) tutte improntate al clima salesiano.

Successivamente è stato il luogo dove ho iniziato a giocare a basket, ad essere un bambino

di estate ragazzi e poi la scuola media e successivamente il gruppo giovani.

L’Oratorio è stato la palestra di vita e la casa per tanto tempo. Ho sempre avuto una famiglia presente, ma l’adolescenza e la successiva maturità sono state generate e passate al Monte.

15 maggio 1988, colle don Bosco, anno del centenario. Pioveva a dirotto e c’erano un sacco di tendoni dove si sarebbero dovute svolgere delle attività.

Con il gruppo dove suonavo avremmo dovuto tenere un’ora di intrattenimento. Sono state oltre due ore, intense, perché vista la pioggia si erano riversati tutti nella struttura più grande ed abbiamo suonato (spesso improvvisando, perché la scaletta era finita) davanti ad oltre duemila persone.

Inizio anni ’90 Palaruffini, festa degli oratori salesiani (non ricordo esattamente il periodo). Insieme ad un paio di amici avevamo messo in piedi una piece basata su Everybody needs somebody. Interpretavo don Bosco (con tonaca e tricorno di don Basset, che dopo alcuni mesi mi ha minacciato di scomunica se non avessi restituito tutto) e sulle note di “siamo santi tutti quanti” (riscritta su quella musica) ci siamo esibiti davanti al palazzetto pienissimo.

E poi ci sono i momenti di formazione a Gressoney: oltre 200 ragazzi stipati in camerate “benedette”, visto che nessuno si è mai fatto male… (altro che legge 626!) e la sveglia mattutina a mezzo altoparlanti con cassette degli AC/DC che boicottavano i più apprezzati (da chi?) canti di Taizè.

Ho sperimentato anche cosa voglia dire “il pubblico è un giocatore in più”. Festa di carnevale e noi giocavamo in palestra (fortemente voluta da don Mario Banfi. E meno male: l’alternativa era il campo in cemento all’aperto da 300 g di escoriazione per ogni caduta) contro la squadra più forte del torneo.

Le tribune si sono riempite oltre ogni limite e c’è stato un tifo così assordante (era impossibile sentirsi tra compagni) che la squadra avversaria è andata nel pallone più totale ed abbiamo vinto senza problemi.

Indimenticabile l’esperienza del gruppo Ministranti e della giornata di servizio alla messa della Domenica delle Palme del 1992 a Roma.

Grandi emozioni, un po’ di timore, perché siamo entrati negli appartamenti privati del papa, prima della messa per le preparazioni iniziali. Tensione che è stata dissipata dal cerimoniere del papa: noi ci aspettavamo un “Procedamus” ed altre indicazioni in latino per la processione di uscita dalla porta di bronzo su piazza San Pietro ed invece lui se ne è uscito con un “n’amose va” che ha eliminato ogni paura.

Ci sono poi stati gli anni dell’università, del lavoro, del matrimonio, dei figli, del divorzio, della nuova vita e della bellezza di vedere i miei ragazzi che scoprono il mondo salesiano, sebbene in altri oratori ed in altre scuole, ma con lo stesso spirito.

Sono oramai 10 anni che non vivo più in Barriera e non frequento più l’oratorio e quindi mi dispiace leggere le notizie del degrado della zona, ma sono sicuro che l’oratorio sarà sempre un punto di riferimento e di aggregazione importante.