storia 14, 17 marzo 2022
by Gino Terzulli e Gianni Marietta
Gino era un ragazzino… beh, diciamo “un po’ vivace”. Nella scuola media era riconosciuto come un rompiscatole sia dagli insegnanti che dai compagni, sempre pronto ad architettare qualche tiro mancino ai danni del prossimo.
Era fissato con il calcio e militava nella squadra dell’Oratorio, schierato in difesa. Tutti conoscevano i suoi azzardi, i suoi tiracci alla “Viva il Parroco!”, che spesso andavano a segno. Era noto in tutto l’ambito monterosino per la sua fortuna sfacciata, unita comunque ad una certa capacità innata di colpire con precisione qualsiasi bersaglio. Anche don Martano lo definiva un “centrino”.
Quel giorno, come sempre durante gli intervalli della scuola, Gino si trova con gli amici nel cortile a giocare al pallone. Tra un “Passa!” e un “Prendi!”, viene avvistato don Leidi in tranquillo colloquio sotto il porticato degli uffici. Don Libero Leidi, un
tipo grande e grosso, è insegnante di francese, severo, che pretende la massima disciplina. Si vanta di vedere e sentire sempre tutto quel che capita, anche se voltato di schiena. Sono tempi diversi da quelli attuali. Se uno studente sgarra, don Leidi chiude la mano destra a pugno e schiaccia le nocche delle dita sul cranio del malcapitato, torcendole sul povero cuoio capelluto.
Ma ora è lì tranquillo, sotto il portico, voltato verso gli uffici, a metà strada tra due colonne, con le ampie spalle che sembrano piazzate lì come un comodo bersaglio. L’occasione è ghiotta.
“Ci scommetti che lo prendo con una pallonata?” dice Gino al compagno più vicino.
La sfida, manco a dirlo, viene accolta con entusiasmo dagli amici, che immediatamente gli cedono la palla e si allontanano, pronti a negare sotto giuramento ogni complicità.
Gino, dopo una breve rincorsa, colpisce il pallone con una puntonata da urlo. La pesante sfera di cuoio attraversa buona parte del cortile ad altezza d’uomo, come un proiettile, e si va a schiantare nel bel mezzo della schiena di don Leidi, lasciando sulla tonaca nera il segno rotondo della terra di cui era impolverato come un marchio indelebile, nel quale si potevano contare i punti delle cuciture.
Immediatamente il don si volta fulmineo. Con lo sguardo torvo scruta uno ad uno i suoi allievi tremolanti. Dopo un momento di incertezza fissa Gino in modo inequivocabile e comincia a dirigersi deciso verso di lui.
Il bulletto a questo punto si rende conto dell’avventatezza del suo azzardo e si mette a correre intorno al cortile, lungo il colonnato, urlando a squarciagola: “Non sono stato io!”.
Ma la fuga è destinata a durare poco. Gino viene inesorabilmente accalappiato per la collottola, bloccato col braccio sinistro intorno al collo e don Leidi, che aveva già le nocche pronte, può avere la sua rivincita.
Ancora oggi, a distanza di almeno cinquant’anni, quando racconta questo fatto Gino sente il dolore inferto dalle nocche di don Leidi alla sua schiena e al suo cuoio capelluto.