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Meditazioni

“ME”, “IO”, “TU” (pensieri per la vita di ogni giorno)

Come una ghianda si tramuta in quercia, così la vita intellettuale e spirituale di un uomo è destinata a espandersi di un amore fraterno per gli uomini tutti. Si osservano tre stadi:

Il Primo è quello dei bambini, è caratterizzato dall’uso quasi incessante del termine “Me”: “Da’ a me”, “A me non piace”, “La mia palla” ecc. ecc. La ragione comincia a svilupparsi, il pronome “Me” si muta in “Io”; l’ordine fisico diventa mentale o intellettuale; il senso di proprietà si volge in orgoglio. Ne conseguono: vanteria, aggressività, gelosia e presunzione: “Io ho fatto questo” oppure “IO ho fatto quest’altro”, “Io sono considerato il più bravo”. ecc. ecc. Gli “Io” si succedono frequentissimi. Questo egotismo (egoismo) si può mascherare molto abilmente, talvolta sopravvalutandosi, talvolta sotto valutandosi.

Al terzo stadio, che coincide con la maturità e rappresenta l’evasione dall’egotismo, si perviene quando dal “Me” e dall’ “Io” si ascende al “Tu” ovvero all’amore del prossimo. Il “Tu” va inteso come una persona di merito inviolabile, che reca in sé l’immagine di Dio, come portatore di quegli inestirpabili diritti che costituiscono la base di ogni forma di democrazia, dotato in oltre di aspirazioni che fanno di lui un effettivo o potenziale figlio di Dio.

Il prossimo non si identifica necessariamente con il mio vicino di casa. Egli potrebbe abitare alla porta accanto ed essere un nemico, e pur tuttavia essere il mio prossimo. che cosa significa, comunque, la “porta accanto”? Orizzontalmente potrebbe identificarsi con l’uomo che getta l’erba di qua dalla mia siepe dopo aver falciato il suo praticello. Ma, verticalmente, potrebbe identificarsi con l’uomo che sta in Cina, poiché se io procedo in linea retta attraverso il mio paese, posso arrivare fino alla terra dei cinesi.

Il prossimo è la misteriosa indistinguibile persona che può attraversarci la strada in qualsiasi momento, da amico o da nemico, a seconda. Il prossimo è colui che ci cammina sui piedi in un sottopasaggio, o che ci fa un sorpasso in senso proibito durante il traffico domenicale, o che in un negozio ci strappa dalle mani il vestito che volevamo acquistare, o quando abbiamo da fare ci parla per un’ora delle sue malattie, o che in autobus si insinua dinanzi a noi per andare a occupare un posto a sedere.

Il prossimo non è qualcuno che amiamo; potrebbe essere benissimo qualcuno che non amiamo e che tuttavia dobbiamo amare in obbedienza al comandamento “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. “Desidera per il tuo prossimo quello che desideri per te” Alla maturità spirituale giungiamo quando amiamo tutti i “Tu” nei quali ci imbattiamo con lo stesso amore che portiamo a noi stessi: perdonando loro quando fanno il male, lodandoli quando fanno il bene, adoperandoci a scusarli allo stesso modo che ci adoperiamo a scusare noi stessi. Poco conta star sempre a domandarci se amiamo il nostro prossimo. L’importante è di agire conformemente a tale amore. Noi impariamo a camminare camminando, a giocare giocando, e ad amare amando.

Se rendiamo un buon servigio a qualcuno che odiamo, ci accorgeremo di odiarlo meno; se gli rendiamo un cattivo servigio, ci accorgeremo di odiarlo di più. Agendo amorevolmente negli altrui confronti, tutti ci sembreranno degni di essere amati. E se non c’è amore, ce lo mettiamo noi, e tutti ne diventeranno degni.

Fulton j. Sheen
Vescovo Ausiliare di New York
Dottore in Filosofia e Teologia
Docente all’università di Lovanio e D’America